1999 – 2019 Vent’anni di Guerra degli Antò

Tra le cose per cui ricordare questo 2019 è che è stato l’anno del ventennale del film “La guerra degli Antò”.

Lo scorso  25 novembre la pellicola è stata celebrata durante L’Aquila Film Fest, alla presenza di attori e regista,  nel ricordo di Danilo Mastracci.

Nel Pod Cast sotto il giornalista aquilano Alessandro Tettamanti racconta com’è andata e le particolari emozioni che il film e la sua lettura collettiva hanno suscitato su di lui e sul pubblico attraverso il suo sguardo di abruzzese e di punk.

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Il Testo del Podcast con i video all’Audorium Casella

1999 – 2019 Vent’anni di Guerra degli Antò

di Alessandro Tettamanti

 

La guerra degli Antò mi ha accompagnato per molti anni, dal momento del casting fino alla sua uscita nelle sale. E poi mi è capitato di guardarlo e riguardarlo un sacco di volte negli anni successivi.

Ho partecipato ai provini e ci hanno recitato dentro dei miei amici e delle persone che conoscevo. Uno di questi, Danilo Mastracci, Antò Lu Zombi, purtroppo non c’è più.

Così lo scorso 25 novembre mi sono commosso a celebrarne i 20 anni dall’uscita durante l’evento di L’aquila film festival, nella cornice di un auditrium “Alfredo Casella” gremito di gente. Credo che così, al film di Riccardo Milani, la provincia abbia riconosciuto il giusto tributo, lo abbia consacrato film cult (o doc di origine controllata). 

Erano presenti gli attori e il regista che a lungo, prima della proiezione, hanno raccontato del periodo in cui è stata girata la pellicola che come noto parla delle avventure di quattro punk di Montesilvano ed è liberamente tratto dal romanzo di Silvia Ballestra, “Il disastro degli Antò” . 

La guerra degli ANtò è una fotografia della provincia degli anni 90’ e più specificatamente di quella abruzzese, ottimo paradigma della Provincia in generale (e del centro sud in particolare).

Riesce ad esserlo soprattutto perché coraggiosamente Milani ha scelto attori non professionisti, letteralmente presi dalla strada. Dalle vie delle città e dei paesi dell’Aquilano e del Pescarese, tutti  belli e assurdi nella loro coralità ( …E nel volto di Pistilli-Antò Lu Purk già possiamo vedere lo Zanardi di “Paz”)

Ricordo quando alcuni responsabili della produzione (chissà se anche il regista stesso?) una sera del 1998 vennero al Boss, una famigerata cantina dell’Aquila in cui si era soliti avvinazzarsi e cantare insieme fino a tardi a suon di chitarre. Lì, reclutarono alcuni ragazzi “con le facce più strane” tra cui me. 

In altre circostante, Orzo, un noto skater locale che dopo il terremoto ha contribuito a dar vita all’esperienza del Comitato 3e32 e CaseMatte, fu preso. Diventerà Fabio di Vasto (… ma quante scene ha Fabio di Vasto, mi dicevo ieri mentre rivedevo per l’ennesima volta il film. Tante! Ricordavo meno. E che grande il mio amico Orzoro ad aver recitato in questo film che rimarrà nella storia… non ho capito se ne è pienamente consapevole. Poi Orzo cazzo è l’antò rimasto più Punk di tutti bisogna dargliene merito).

Sul palco dell’Aquila film Fest c’erano pure Paolo Setta, Antò Lu Zorru, oggi conosciuto come imprenditore nel settore del turismo in abruzzo e  Federico Di Flauro, Antò Lu malatu. 

Durante la presentazione del film, Di Flauro ha raccontato che Milani lo ha letteralmente “usato” come attore, nel senso che lui attore non era, non lo è mai stato e Milani – che l’aveva preso – riusciva a prepararlo il tanto basta per ottenere quella scena. Riusciva insomma a farlo diventare un attore per quei momenti. Un ragazzo scelto a soli 17 anni in una scuola di Sulmona, lui che della quarta si era riuscito ad imbucare tra i maggiorenni della quinta per saltare un giorno di scuola  e provare ad esser preso nel film.

Ma sopratutto tra gli Antò c’era Danilo MastracciAntò Lu Zumbi e Danilo c’era anche quella sera, tramite la faccia buona di suo padre che è salito sul palco per ricordarlo: “E’ riuscito un’altra volta a riunirci tutti quanti” ha detto.

Qui la lettura di un raccontato scritto da Danilo Mastracci tramite la voce di Tiziana Gioia durante la stessa serata.

Danilo ci ha lasciati troppo presto, a 39anni nel 2015, per una malattia cardiaca. Una bruttissima notizia che mi ricordo arrivare nel 2015, dopo il sisma, come una bruttissima notizia nel nostro mondo di provincia. Il mondo dell’Aquila che da giovanissimi abbiamo animato con le nostre teste sfolgoranti di adolescenti. 

Quel mondo in cui a un certo punto uscì “La guerra degli Antò”, in cui recitava Danilo, che con quella parrucca bionda e quella statura e… quella faccia, era assolutamente  credibile come Punk, come Antò!

Il suo grido “Perché noi siamo contro tutto” durante il collegamento alla trasmissione Chi l’ha visto, è forse la scena chiave del film: fiera rivendicazione assolutistica della guerra che gli Antò fanno nella Provincia, terreno in cui una contro cultura come il punk attecchisce perché viene riconosciuta dai ragazzi come arma di ribellione. E in provincia la ribellione è fortemente necessaria.

D’altronde la guerra è anche quella che incombe reale nel Golfo, prevista dalle loro analisi. La loro “guerra” è per difendersi da questa guerra che nel film li tocca direttamente attraverso lo scherzo-vendetta delle sorelle Treves. Ma ci tocca direttamente anche nella propaganda nazionale sul colonnello Cocciolone; aquilano, residente nel mio quartiere di Pettino. Questo senso di imminenza della catastrofe d’altronde è fedelmente dentro la cultura punk (basti pensare alla distopia nucleare e le vicende narrate da Philopat in “costretti a sanguinare”) 

Così nel film il punk viene raccontato dalla Provincia. E se è vero che non può che nascere dall’avanguardia culturale della metropoli , il punk prende il suo più stretto significato dalla ricezione della provincia: esterofila per vocazione e quindi trasognante quello che non c’è, sempre. O almeno così è la nostra: arrabbiata, cafona e in guerra di natura, terra dei Bernardo Viola e  degli Anto’, dei Don Circostanza e dei  Treves …di Fontamara e Montesilvano.

Terre in cui coltivare il sogno punk dell’evasione. Anto’ lu purk desidera scappare via, a tutti i costi, da Montesilvano da quella provincia, fatta di mamme chioccia zii strani e balli di gruppo. Per andare al Nord, “fino in fondo” prima a Bologna e poi ad Amsterdam.

Una Bologna che la Guerra degli Antò fissa nel tempo, quella di stop al panico e del Link, dove vengono girate alcune scene molto belle.

Antò è in fuga, dalla provincia e da se stesso, ha solo il coraggio della disperazione con sé quando parte per Amsterdam. ”Ma ci vuole coraggio anche a restare a Montesilvano” replica Antò Lu Zurru alla stazione.

Quanti di noi’? Quanti di noi l’hanno fatto o hanno sognato di farlo. Quanti Antò siamo stati in quegli anni!

Quegli anni 90’ che il film ben rappresenta per intero, in quanto girato nel 99’ e  ambientato nel 91’.

Nel mettere in scena la famiglia abruzzese, la guerra degli ANtò fa pensare all’affresco di parenti serpenti di Monicelli che ugualmente raccontava quella provincia.

Milani lo fa accentuando molto la Commedia, ma se in alcuni punti può raggiungere volutamente il grottesco (trash-punk in salsa folk) partendo dallo stesso registro, riesce a dare spunti di riflessione affatto banali e profondi.

Come il malessere di Antò Lu Purc che lontano da casa, deluso dall’amore e e ubriaco rimpiange la nonna che lo difende, lui che è contro tutti perché tutti ce l’hanno con lui in una Bologna ostile in cui prosegue incessantemente ad auto distruggersi. Come se il veleno della Provincia te lo portassi dentro.

A  portare il ritmo benissimo invece ci pensa una fantastica Piccola orchestra Avion Travel che con il suo commento musicale contribuisce a far scivolare il film.

Eppure.

Ho sempre pensato ci fosse un’aporia , un errore, qualcosa nel film che non mi tornava proprio. 

Sì è la questione linguistica… dalla prima volta che ho guardato la guerra degli Antò, la lingua in cui era girato… mi strideva. 

Trovavo il film scioccamente Pescarofonocentrico e lo so che solo io posso utilizzare un’espressione del genere.

Perché Orzo e Danilo, aquilani fino all’osso, dovevano sforzarsi a recitare in dialetto Pescarese, perché non lasciarli recitare nel loro dialetto aquilano? 

Per questione di sceneggiatura ovviamente, ma se prendi un attore non professionista all’Aquila – perché evidentemente ti sembra quello il volto vero da prendere –  tanto vale fargli parlare il suo dialetto. 

Il mio orgoglio montanaro non mi faceva pensare a tutta una serie di cose che quella sera, nella discussione tra attori e regista, finalmente ho potuto comprendere meglio attenuando questo mio senso di imbarazzo.

Non mi potevo immaginare la situazione positiva venuta fuori sul set, di creolizzazione e pidgin linguistico, in una rara occasione di contatto abruzzese.

Con Milani  che ha voluto puntare comprensibilmente,  a un’uniformità linguistica creando un abruzzese di fatto inesistente, una sorta di “esperanto” abruzzese tra L’Aquilano e il Pescarese.

Ok ma ora basta cazzate. Volevo dire questo.

Grazie Danilo

 

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