Regolarizzazione cittadini stranieri. Salvatore Fachille (Asgi): “Quando si ha una condizione giuridica molto fragile è probabile che una persona cada in mano a forme di sfruttamento”

“Siamo esseri umani, non braccia”, è con queste parole che, in un video lanciato sui social, il sindacalista Aboubakar Soumaoro e altri lavoratori protestano contro la modalità con cui il governo sta affrontando la regolarizzazione dei cittadini stranieri senza permesso di soggiorno. Parole che, senza fronzoli, vanno al punto della questione. La sanatoria tanto voluta della ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova, e fortemente osteggiata dal M5S, nasce da presupposti prima di tutto di interesse economico, ovvero la mancanza di manodopera nei campi dovuta alla carenza di lavoratori europei a causa della chiusura delle frontiere per l’emergenza Covid. Mentre prosegue il braccio di ferro tra Italia Viva e Movimento 5 stelle, nel giro di pochi giorni sono stati fatti già dei passi indietro su una sanatoria che, già in partenza, appariva problematica e non di certo risolutiva.

In particolare, l’ultima bozza del decreto parla di riconoscere un permesso di soggiorno temporaneo ai cittadini stranieri sottoposti a rilievi fotodattiloscopici in data anteriore all’8 marzo 2020 e che non abbiano lasciato l’Italia; con un ulteriore requisito, ovvero che i cittadini stranieri abbiano un permesso di soggiorno scaduto dalla data del 31 ottobre, non rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno. Inoltre, e qui scatta un’altra restrizione, devono aver già svolto attività di lavoro nei settori dell’agricoltura, allevamento e zootecnica, assistenza alla persona o lavoro domestico. Dunque solo se l’Ispettorato del lavoro certificherà che si è già lavorato in questi settori in passato, si potrà ottenere il permesso di ricerca di lavoro per sei mesi.

Come ci insegna la lunga storia di sanatorie in Italia e l’ingente numero di irregolari presenti nel nostro Paese, più le sanatorie sono stringenti, cioè escludono delle fasce di cittadini stranieri dalla regolarizzazione, più non portano neanche lontanamente ad una soluzione. Come ricorda l’Associazione diritti e frontiere (Adif) in un video sul tema, l’irregolarità è il risultato di una recidività della legge; basti pensare a tutte quelle persone che, entrate regolarmente con un visto, hanno poi perso il lavoro e di conseguenza non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Senza contare che, come ha ricordato Walter Massa nella puntata del 7 maggio di Radio19, nel nostro Paese non si può entrare regolarmente, ma solo rischiando la vita nel Mediterraneo.

Alla luce di questa situazione, quella che si combatte in queste ore sembra già una battaglia persa. Oltre ai problemi già emersi nell’ultima bozza, le stesse modalità di regolarizzazione nascondono ulteriori criticità. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Salvatore Fachile dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi).

“La posizione dell’Asgi – ha detto l’avvocato – è che è totalmente inadeguato l’ordine stesso del discorso. Non si può cioè discutere se fare una regolarizzazione sulla base del fatto che questa sia o meno necessaria per poter portare avanti alcune attività produttive all’interno del territorio italiano: questo è sminuente perché viviamo in una democrazia moderna, al centro dovrebbe esserci innanzitutto il dibattito sulla necessità di riconoscere un permesso di soggiorno a tantissime persone che hanno uno status giuridico debolissimo. Fatta questa premessa, nello specifico troviamo particolarmente frustrante, e fuori da quello che è l’ordine dei valori costituzionali, l’idea di specificare la possibilità di fare questa regolarizzazione soltanto per alcune attività produttive. Inoltre, queste attività produttive sono tra quelle che più stigmatizzano il cittadino straniero, come colui che è in qualche modo asservito ai cittadini italiani, sia come colf, sia come lavoratore nei campi: si tratta di un richiamo ad un immaginario collettivo che è punitivo nei confronti dei cittadini stranieri, relegati sempre allo svolgimento di lavori che sono caratterizzati da un forte rapporto inter-gerarchico con il datore di lavoro”.

“Se si circoscrive a solo alcune attività produttive il funzionamento di questa regolarizzazione – prosegue Fachile – c’è il rischio che, come già avvenuto in passato, moltissimi italiani e cittadini stranieri residenti in Italia metteranno in essere una serie di truffe ai danni di queste persone: molti cittadini stranieri senza un permesso di soggiorno, che ora lavorano in altri settori produttivi, saranno agganciati da vari truffatori che offriranno loro di stipulare un contratto nell’agricoltura o nell’attività di supporto familiare e probabilmente li indurranno in errore. Questo è un meccanismo che conosciamo benissimo: lo abbiamo visto anche in passato, da ultimo anche la sanatoria per colf e badanti del 2012, quindi sarebbe un’ulteriore speculazione sui cittadini stranieri. Il legislatore sa che, se fatta solo per alcuni settori produttori, sarà una sanatoria che non corrisponde ai valori e in più darà adito a varie truffe ai cittadini stranieri però, per ragioni di tipo retorico e propagandistico, ritiene opportuno fare questo tipo di scelta che noi disapproviamo profondamente”.

“È probabile – aggiunge – che ci sarà una somma da pagare che serve a coprire forfettariamente quello che non è stato pagato in precedenza. Ovviamente siamo tutti consapevoli che se in teoria questa somma dovesse essere addebitata a carico del datore di lavoro, poi in pratica sarà una somma che viene pagata dal lavoratore che potrà essere posto di fronte all’alternativa: ‘se vuoi regolarizzarti, devi pagare altrimenti sarai licenziato’; questo è tipicamente un altro meccanismo che conosciamo benissimo quindi prevedere delle somme forfettarie a carico del datore significa prevederle a carico di una persona che ha lavorato in nero, senza un permesso di soggiorno quindi probabilmente in una condizione di sfruttamento e con risorse economiche limitatissime”.

Di fronte a questa scelta, diverse associazioni si sono mosse per proporre un’alternativa, tre queste l’Asgi.

“Noi supponiamo – ha detto Fachile – che chi ha un lavoro in qualsiasi settore produttivo possa ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, chi invece non ha un lavoro in questo momento, perché magari lavora in nero ed il datore di lavoro non lo vuole regolarizzare, potrà chiedere un permesso di soggiorno per ‘attesa occupazione’, cioè un permesso di soggiorno che ti permette di stare in Italia per un anno. Entro questo anno hai l’obbligo giuridico di riuscire a stipulare un contratto di lavoro, se lo riesci a stipulare, ti viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato. È una soluzione del tutto ragionevole, che per altro combacia con gli strumenti già esistenti del nostro Stato, cioè il permesso di soggiorno per attesa occupazione e sostanzialmente darebbe alla persona la possibilità di sottrarsi ad eventuali ricatti. Se il cittadino straniero subisce ricatto da parte del suo datore di lavoro, allora potrà prendere semplicemente un permesso per attesa occupazione e avrà un anno di tempo per trovare un datore di lavoro onesto che gli faccia un vero e proprio contratto”.

Siamo comunque tutti consapevoli che le condizioni dei lavoratori nell’agricoltura sono qualcosa che il nostro Paese non può più accettare.

“Questo attiene allo specifico argomento, – conclude l’avvocato – che non è del tutto coincidente, dello sfruttamento lavorativo che si perpetra in tanti campi, in particolare in modo più vistoso nel campo dell’agricoltura. Ovviamente questo non riguarda tutti i datori i datori di lavoro e non tutti i cittadini stranieri però, realisticamente e statisticamente, sappiamo che se un cittadino straniero è privo di un permesso di soggiorno oppure ha un permesso di soggiorno molto fragile, cioè uno di questi permessi come richiedenti asilo è molto probabile che cada preda di un datore di lavoro che lo sfrutta lavorativamente in vari gradi. In generale, quando si ha una condizione giuridica molto fragile è molto più probabile che una persona cada in mano alle forme di sfruttamento e, tra le tante forme di sfruttamento, una tra le più diffuse e vistose, incredibilmente alla luce del sole, è quella dello sfruttamento lavorativo nel campo dello sfruttamento dell’agricoltura. È forse quello più conosciuto, insieme all’attività di prostituzione, però ce ne sono anche altri, nell’edilizia per esempio, o nell’allevamento”.

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