L’Aquila, ultime sentenze: è giusto che lo Stato paghi per la rassicurazione della Commissione Grandi Rischi

Dopo la sentenza choc della giudice Monica Croci che appena lo scorso ottobre dava il 30% di responsabilità della propria morte anche alle vittime – vergogna che lì resterà fino all’Appello che potrebbe eventualmente ribaltarla – sembra chiaro ormai che il giudice Baldovino De Sensi, che l’ha sostituita nei procedimenti civili relativi al terremoto del 6 aprile 2009, abbia un altro orientamento rispetto la sua collega.

Parliamo delle ultime cause civili arrivate a sentenza di primo grado lo scorso 23 dicembre, in cui si condanna la Presidenza del Consiglio (leggasi Protezione Civile) al risarcimento delle vittime, e in cui  è evidente il peso della rassicurazione della Commissione Grandi Rischi, ovvero del Dott. Bernardo De Bernardinis che, condannato in via definitiva nel processo penale, paga per tutti come capro espiatorio.

A lui infatti era ‘sfuggito’ di dire ai giornalisti il senso vero e ultimo di quella Commissione, fatta espressamente all’Aquila dopo la forte scossa del 30 marzo, cioè di avvalorare la tesi anti scientifica dello scarico di energia utile a rassicurare la popolazione. Ad organizzare il tutto fu l’allora Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, che in una telefonata divenuta pubblica, all’allora Assessore regionale alla protezione civile Stasi, spiegava senza mezzi termini il fine puramente rassicuratorio di quella commissione. Lui è il vero mandante della rassicurazione, ma non partecipò a quella riunione e non è stato possibile aprire processi che lo riguardino in tal senso.

Vi parteciparono invece altri sei scienziati tra cui lo scomparso ,presidente dell’IGV, Enzo Boschi, tutti condannati in primo grado a sei anni e poi assolti in quanto, sostanzialmente, in appello e in cassazione, non furono trovate le prove che costoro abbiano “rassicurato”. Il verbale di quella riunione non fu mai trovato e i generici resoconti mediatici che davano un senso di rassicurazione furono imputati all’interpretazione dei giornalisti.

Di fatto però la posizione della “Scienza”, nella vicenda Grandi Rischi, non resta delle migliori in quanto sembra comunque venire utilizzata dal potere politico. Una contraddizione che diventerà sempre più centrale in futuro, ossia nel nostro presente, facendo del Processo grandi rischi un antesignano importante in cui si sono indagati i confini tra Scienza e Potere e le eventuali conseguenze e responsabilità di una tale compromissione.

Troppo spesso , anche nella vicenda Covid 19 ad esempio, si è utilizzata “la Scienza” come un parafulmine di fronte qualsiasi critica in quanto inattaccabile, in quanto “Scienza”. Ma un conto è il metodo scientifico, un conto sono le comunicazioni di segno e responsabilità politica che si fanno in base ad alcuni risultati scientifici. 

Ricordiamo che il Processo alla commissione Grandi Rischi a livello mediatico nazionale passò come il “Processo a Galileo” e noi aquilani che eravamo d’accordo sulle responsabilità di un’operazione di rassicurazione  che nulla aveva a che fare con la “scienza”, fummo in un certo senso bollati e squalificati come antiscientifici, antesignani dello stigma “no vax”.

Eppure come hanno sottolineato in molti – in primis il prof Antonello Ciccozzi che fece da consulente scientifico del processo che portò in primo grado alla condanna generale utilizzando la scienza dell’antropologia culturale e coniando il termine di “rassicuazionismo” – al centro della questione del terremoto dell’Aquila sta qualcosa di molto importante e di cui comunicatori, sociologi e antropologi e chi più ne ha più ne metta, si dovrebbero occupare sempre più, ovvero la giusta analisi di un rischio nella nostra società e la sua corretta comunicazione.

Fu fatto questo all’Aquila? macché … è opportuno ricordare che si rispose alle tesi anti scientifiche e non razionali che prevedevano un terremoto, con altrettanto tesi anti scientifiche e non razionali che prevedevano un non terremoto ma di segno istituzionale. “De Bernardinis” si direbbe oggi, è lui l’unico- e fatemi aggiungere “povero” – diavolo che ci ha rassicurati… anche se non è così. 

C’erano punti di ritrovo organizzati in quel periodo all’Aquila dopo mesi di sciame sismico? No. Semplicemente era in corso un’operazione di rimozione del rischio che potesse avvenire un grosso terremoto, e non si prese nessun provvedimento che contemplasse l’ipotesi di un grosso sisma e l’unica cosa di cui fu capace l’autorità di fronte i timori generali , fu quella di rassicurare e di dire alle persone di rimanere a casa in quanto questo era più comodo per l’ordine pubblico. Alcune vittime che oggi ottengono il risarcimento furono di fatto sacrificate per questo. 

Ciò sembra ancora difficile da capire per molti giornalisti nazionali che non hanno mancato di rievocare la perifrasi che “il terremoto non si può prevedere”, estraendo del tutto l’ultima sentenza che prevede il risarcimento della Presidenza del Consiglio  dal contesto, un contesto lontano nel tempo, ma che si dovrebbe invece ben ricordare ed analizzare alla luce dei fatti presenti e futuri.

Cosa pensate sia la questione della mancata istituzione della zona rossa nei Comuni della Bergamasca ad inizio marzo 2020 che avrebbe causato centinaia e centinaia di morti in più da Covid, se non lo stesso atteggiamento di un Governo che si sbilancia senza presupposti scientifici verso ipotesi ottimistiche che tendono a mantenere uno status quo (produttivo nel caso della Bergamasca) invece di capire e gestire il rischio, comunicarlo i maniera opportuna e gestire un’emergenza ?

Quanti altri casi come il (non) terremoto dell’Aquila o la mancata istituzione di una zona rossa al principio di una pandemia accadranno ancora? Questo ci dice L’Aquila e la sua lezione ben sapendo che la responsabilità dei crolli è di chi quei palazzi li ha mal costruiti , complice anche la cultura edilizia del tempo. Ma infine è anche di chi quei palazzi ha fatto in modo fossero pieni di gente. Ed è ovvio che il processo ha tenuto conto di prove, per quanto riguarda le vittime oggetto del procedimento, che hanno stabilito il rapporto causale tra le parole pronunciate nei media da De Beradinis e un cambio di comportamento da parte della vittima.

Con buona pace di alcuni giornalisti nazionali che parlano ancora dell’impossibilità di prevedere i terremoti ,come se la questione fosse questa, a 13 anni di distanza dal sisma le sentenze ci restituiscono un rischio di terremoto distruttivo ben vivo, impossibile da non contemplare in quei giorni del 2009.

Cioè qualcosa che all’indomani del sisma era difficile da asserire e per cui abbiamo lottato nelle piazze e nelle aule di tribunale affinché divenisse verità storica, e verso cui ci sono ancora molte resistenze.

E se riaccadesse domani che ci fosse uno sciame sismico insistente e continuo con scosse anche da 4 gradi, cosa si farebbe? Nulla perché il terremoto non si può prevedere? Si direbbe alla gente di stare tranquilla “che sta scaricando”? Ci sarebbe maggiore attenzione da parte della stampa nazionale? Le istituzioni locali prenderebbero maggiori misure per sfollare i cittadini verso le adesso, sulla carta, istituite (quanto semi sconosciute e poco attrezzate) aree di concentramento?

Queste sono domande che L’Aquila ancora pone e che dovremmo continuare a porci all’Aquila come dappertutto.

Alessandro Tettamanti

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