Da “L’Aquila rinasce” a L’Aquila (calcio) fallisce. Così si uccide una città!

Ho seguito molto L’Aquila calcio nel dopo sisma, dal 2012 al 2016 in particolare, sia come tifoso curvaiolo che come giornalista e voglio dire qualcosa a titolo personale sul suo vergognoso fallimento di questi giorni.

Ho potuto rimettere in quegli anni sopra citati, tutta la passione per i nostri colori che mi porto dentro da bambino (vado allo stadio da inizio anni 90’), per poi arrivare al disaffenzionamento forzato dell’ultimo anno e mezzo in cui si capiva quale potesse essere il triste epilogo delle vicende del club.
Non ho seguito invece moltissimo tutte le dichiarazioni degli ultimi giorni intorno al capezzale dell’Aquila e neanche mi interessa più di tanto sentirle. Però qualche titolo l’ ho letto… e ci sono un sacco di cose da dire intorno le responsabilità di quanto avvenuto.

Per me le responsabilità sono di chi ha amministrato L’Aquila calcio e il Comune dell’Aquila, quest’ultimo soggetto garante di un bene comune come L’Aquila calcio (non la Srl chiaramente, ma il titolo) per conto di tutti i suoi cittadini e tifosi. Un bene anche potenziale vettore di ricchezza socio-economica per il territorio.

I tifosi invece sono quelli traditi, che di responsabilità non ne hanno! Ci mancherebbe, che si è impazzito il mondo? Per carità tutti noi – viste le assurde condizioni degli ultimi anni – abbiamo sbagliato più di una volta nel giudicare, nel fare valutazioni, nel prendere una posizione piuttosto che un’altra… Ma i tifosi non hanno mai avuto il potere di decidere. I tifosi sono rimasti proprietari solo della loro passione, e senza di loro il calcio professionistico non potrebbe esistere, sono la parte migliore del calcio per definizione.
Con il Supporter’s Triust – di cui faccio parte – abbiamo chiesto in tempi non sospetti “partecipazione” reale , cioè anche tramite la compravendita di una piccolissima quota della società – ma la cosa non interessava, non fu vista di buon occhio e non concessa da Chiodi & Co. Bisogna certo continuare a interrogarci, me per primo, sul senso di tale organo una volta che non gli viene conferito potere decisionale alcuno e ha limitata rappresentatività fattuale. Ha invece responsabilità diverse, a vario titolo, chiunque abbia accettato in qualche forma di entrare in società.

Responsabilità ne ha certo il Presidente Corrado Chiodi e tutti i grossi imprenditori che si sono avvicendati nel c.d.a. e nei ruoli chiave degli ultimi anni. In pratica una scandalosa non-gestione affidata per svariati anni per lo più ad un personaggio come Ercole Di Nicola.
Questi imprenditori della ricostruzione, Presidente in primis, hanno avuto l’onore, con il bene placido della politica, di poter mettere il loro nome affianco quello della squadra di calcio della propria città. Il che consente di avere buona pubblicità  nella ricostruzione post sisma, e quindi, presumibilmente quanto legittimamente e a norma di legge, maggiori affidamenti diretti nella ricostruzione privata da parte dei propri concittadini indennizzati con soldi pubblici per il sisma. Almeno fino a che la squadra va benino, cosa che è riuscita a fare (per un periodo anche bene sotto il punto di vista dei risultati) fino alla Caporetto di Rimini  del 2016 che più o meno coincide con il termine del grosso della ricostruzione privata sull’Aquila.

L’onere però era di dare  una gestione competente ed onesta al bene comune, che garantisse una categoria adeguata per L’Aquila, come anche la Lega Pro. Invece questi grossi imprenditori locali ci hanno preso in giro. Prima hanno fatto solo finta di gestire, poi non sapendo fare di meglio l’hanno praticamente lasciata fallire, continuandola a tenere sotto sequestro per salvaguardare i propri interessi e non creando le giuste condizioni per poterla cedere (in primis onorando i debiti).

Oggi fa più rabbia vedere quegli stessi imprenditori girare a bordo dei loro macchinoni. Alcuni di loro prima di prendere L’Aquila calcio, avevano tutt’altri fatturati.

Responsabilità ne ha l’Amministrazione Comunale precedente, sotto la quale, anche con il suo beneplacito, Chiodi è divenuto Presidente  e non ha saputo vigilare – per la sua parte – su come andassero realmente le cose negli anni, non smettendo tuttavia di ricevere l’appoggio dagli stessi imprenditori, come verificatosi nella vicenda delle primarie del centro-sinistra per le elezioni comunali che ha favorito il candidato vincente, poi sconfitto nel ballottaggio dall’attuale Primo cittadino.

Ma di responsabilità, mi sento di dire, ne ha sopratutto questa d’amministrazione che in tale vicenda non è stata capace di fare nulla per evitare il peggio a parte passi falsi e proclami propagandistici di comodo sulla nostra pelle, provando a passare peraltro, anche in questa vicenda, come diversa, di rottura, rispetto all’altra mentre a me sembra uguale nelle abitudini, solo ancor più inadeguata.

Inutile barricarsi come ha fatto per un anno, dietro la formula ”è una questione tra privati” che, detta da un Sindaco, sa davvero di presa in giro, fino a criticare, a morte avvenuta, gli “imprenditori che vanno a braccetto con la politica”. Ma cosa hanno fatto a Palazzo Margherita? Qual è il loro piano, oltre lasciar fallire la società?

L’amministrazione Biondi ha avuto più di un anno per mediare e trovare le condizioni per evitare il fallimento, per evitare il tradimento verso città e tifosi. Per trovare soluzioni, per scongiurare un umiliante fallimento (il terzo in 20anni) questa volta DALLA SERIE D!!!
L’assessore Alessandro Piccinini in pratica non si capisce bene che cosa abbia combinato, oltre che portare l’ambiguo personaggio di Gianluca Ius, per poi cavarsela in maniera davvero pessima con “adesso non si può fare niente, ricominciamo da capo”.
E certo che ricominciamo da capo, cosa dobbiamo fare? Ma suo, Assessore, era il compito che ciò non avvenisse e che fosse mantenuto l’onore dei colori della nostra città e la categoria!

Bene ha fatto chi – dai Red Blue Eagles a Di Benedetto – ha chiesto le sue dimissioni. Si dimetta assessore! Lei ha fatto troppo poco e si è dimostrato inadeguato. Noi aquilani non abbiamo tutti l’anello al naso e non accettiamo un tale comportamento da parte di chi ci dovrebbe rappresentare. Ma evidentemente noi aquilani siamo anche particolarmente masochisti quando si parla di rappresentanza visto che poi alle politiche siamo andati ad eleggere, nelle file del centro destra (le stesse di quest’amministrazione), anche il Pescarese Martino, ex socio rossoblù ai tempi di Di Nicola, che con la città non c’entra niente ed il cui core business come imprenditore è di difficile comprensione.

In quanto al Sindaco che non vuole andare “a braccetto con gli imprenditori”, vorrei vederlo usare tutte queste attenzioni nei confronti di Cairo, presidente del suo amato Torino che evidentemente gli interessa più dell’Aquila calcio, la squadra della città di cui è Sindaco, che ora ricomincerà dalla Prima Categoria (se ricomincerà). Avremmo voluto avere un sindaco anche tifoso, per questo ancora più pronto a prendersi tutte le responsabilità, pronto a pagarne anche le conseguenze, invece di mostrare solo posizioni di comodo e strumentali. Non-fare è sempre più facile di fare, ma quando si amministra L’Aquila, e non Villa Sant’Angelo, si ha il dovere di avere più coraggio!!!

L’amministrazione comunale doveva usare tutti i suoi poteri e mezzi legittimi, per costringere i Chiodi-Mancini-Cipriani e tutti gli altri, ad onorare tutti i loro debiti, mettere L’Aquila calcio nelle condizioni di essere ceduta a gente seria, agevolandone la vendita. Come? Ci sono tanti modi quando si è nelle stanze del potere per farlo, ma a noi che non ci stiamo e non abbiamo potere decisionale non ci compete il “come”. Vi abbiamo eletto per questo, a noi interessa che facciate il nostro bene, che in questa occasione coincide con il bene comune dell’Aquila calcio e del suo onore. Se si fossero mossi in questa direzione avrebbero avuto l’appoggio di tutta la tifoseria.

Invece si continua ad assistere all’evitare ogni responsabilità. Parlano di identità e non sono capaci di difendere uno dei maggiori simboli d’identità cittadini, vettore unico di collante per la comunità… non guardiamo gli schieramenti politici, guardiamo al coraggio degli uomini…

Poi leggo negli ultimi giorni da imprenditori locali pieni di soldi che ora si deve “ripartire dall’ azionariato popolare”… a me sembra più un modo strumentale, anche qui, di declinare la propria responsabilità. Se si ripartirà dal basso e dall’azionariato popolare non sono i grossi imprenditori a doverlo dire.

I soldi ce l’hanno loro intanto, i grossi edili (per esempio tutti i nomi apparsi sui giornali degli ultimi giorni da Cicchetti a Iannini ecc.), compresi quelli  Teramani e Pescaresi (Cingoli e Di Vincenzo per esempio) che hanno trovato fortuna nella Ricostruzione, insieme a tutte le grosse aziende che hanno beneficiato dei fondi Cipe del 5%, o di altri fondi destinati al territorio, come il settore farmaceutico, dell’alta formazione e della Smart city, con alcuni dei quali Biondi va tranquillamente “a braccetto” senza che ci sia nulla di scandaloso.

La prima forma di redistribuzione della loro ricchezza sarebbe dovuta essere quella di non far fallire un bene comune popolare come L’Aquila calcio.

Tutti costoro devono restituire alla città, sono ancora in debito con essa e la militanza della prima squadra di calcio in Lega Pro è il minimo che si possa chiedere loro come misura iniziale di risarcimento da qui agli anni a venire. Ci manca solo che adesso ci fanno pagare a noi per questo e che le colpe sono di noi tifosi. Anche perché poi al momento della richiesta di partecipazione popolare reale siamo già stati abituati ad essere respinti, perché chi mette più soldi sono sempre loro che ce l’hanno e non noi. Ed è complicato far lasciare un po’ di potere decisionale a chi mette più soldi.

Ben venga ogni forma di partecipazione dei tifosi, ci mancherebbe che dicessi il contrario, ma abbiniamola anche a discorsi più pragmatici. Se si punta ad una squadra che militi in Lega Pro, o addirittura in B, nel calcio d’oggi servono capitali. E di certo non bastano questi, ma serve competenza, progettualità e apertura mentale. Noi tifosi pensiamo alla ripartenza come precondizione per tempi migliori. Quindi al movimento calcistico cittadino legato al calcio minore, a ritessere quei legami con il territorio che folli gestioni di L’Aquila calcio hanno spezzato, a dare la giusta importanza al settore giovanile, alla gestione comune ed intelligente degli impianti e a uno statuto sulla partecipazione dei tifosi.

Ma i giorni appena dopo il fallimento sono giorni di rabbia per essere stati nuovamente traditi anche da propri concittadini. Una rabbia che è scorsa troppo poco e che in generale si stenta a sentire in città, nonostante le condizioni sociali disperate in cui versa e di cui il fallimento dell’Aquila calcio ne è l’ennesima comprova.
L’Aquila fallisce, non rinasce, dovrebbe star scritto sulle impalcature dei palazzi vuoti che si stanno ricostruendo. Così si sta ricostruendo senz’anima, tenendo conto solo dei propri interessi e non anche di quelli di tutti. E così nessuno va da nessuna parte.

E se l’ex Sindaco Cialente ci aveva sfiancati con le sue promesse disattese e la sua politica tesa a mantenere consolidati equilibri, Biondi sta passando oramai quasi senza più opposizione sulle macerie sociali che sono rimaste, di una città che non da più feedback, che sembra andata… persa in retrotopie assurde, mentre quasi non se ne se sente più il polso, eccetto per quello di pochissimi indomiti sempre più soli.

Si è passati da una cieca esaltazione del futuro che non prevedeva il presente (amm. Cialente), ad un’esaltazione del passato che non è mai esistito, che demolisce oltre che il presente, anche una qualsivoglia idea di attrattivi per il futuro.

L’Aquila calcio (e non “zieta”) intanto è inesorabilmente morta, diciamocelo, nel disinteresse di molti, senza speranza, senza si sia riusciti a porre la minima sanzione sociale per i responsabili, con politici e imprenditori che ancora parlano di come sarà e sarebbe potuto essere invece di tacere, senza che ci sia sufficiente rabbia verso il politico responsabile e genuino odio di classe per il grosso imprenditore che non rimette in circolo la ricchezza guadagnata, per dire che questa città sia ancora L’Aquila.

Dopo il terremoto uscì un opuscolo di critrica che parlava sostanzialmente di urbanistica (hanno iniziato con quella). Si intitolava “Non si uccide così anche una città?”.

Oggi, dopo quasi dieci anni, con l’amara esperienza acquisita, ne potremmo scrivere un altro, di critica sociale tout-court. Il titolo? Stavolta: “Si uccide così una città”.

Alessandro Tettamanti

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