L’Aquila, anniversario terremoto: un 6 aprile all’insegna delle lotte per ottenere verità e giustizia
Il 31 marzo di quattordici anni fa una riunione convocata dall’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, si riunì all’Aquila per rassicurare gli aquilani.
Era fatta proprio per questo, per rassicurare – a prescindere – come dimostrano le intercettazioni dello stesso Bertolaso con l’allora assessora regionale Stati.
Sei scienziati si prestarono alla pantomima, Bertolaso non partecipò, ma al suo posto c’era il suo vice Bernardo De Bernardinis, che rilasciò la famosa intervista in cui ci comunicò di star tranquilli e bere un buon bicchiere di Montepulciano.
In primo grado il giudice Marco Billi, con una sentenza coraggiosa – che si servì della consulenza sul “rassicurazionismo” dell’Antropologo aquilano Antonello Ciccozzi – condannò tutti a sei anni per aver rassicurato gli aquilani e le aquilane senza alcun fondamento, visto che, come ricordiamo, dopo soli sei giorni arrivò la scossa mortale.
La stampa nazionale allora parlò in gran parte di processo alla Scienza (“a Galileo”) senza preoccuparsi del fatto che invece quella che si voleva condannare era proprio la pseudo scienza che agisce a comando del potere politico.
Fatto sta che in secondo grado furono tutti assolti tranne il vice Capo della Protezione Civile De Bernardis. Dunque la magistratura , anche con quella sola condanna, avallò in via definitiva il fatto che ci fu un nesso causale tra la rassicurazione immotivata e il comportamento di alcune persone che quella notte decisero di restare in casa nonostante le forti scosse della sera (e di tutti i giorni precedenti), proprio in virtù della comunicazione fatta dalle autorità preposte attraverso la riunione della Grandi rischi veicolate dai media. “Tranquilli sta scaricando” ricordate? Pseudoscienza.
Questa è solo una però delle tantissime storie di giustizia per cui ancora all’Aquila si cerca di fare chiarezza.
Ricordiamo tutti ad esempio la sentenza choc della giudice Monica Croci che lo scorso ottobre ha dato il 30% della responsabilità alle vittime del crollo del palazzo in Via campo di Fossa per la loro stessa morte, per essere rimaste a casa. Sentenza oscena ed illogica visto anche che molte altre sentenze, in virtù di quella che condanna De Bernardinis in via definitiva, stanno disponendo dei risarcimenti ai familiari delle vittime condannando la Presidenza del Consiglio (che è l’organo responsabile della Protezione Civile) proprio per aver rassicurato. Gli inquini e le inquiline di quella palazzina dove trovarono la morte ventisette persone, non avevano da sé nessun elemento per ritenere l’edificio non sicuro, anzi avevano rassicurazioni istituzionali per restare a casa.
Questo ci fa comprendere come sia necessario lottare per arrivare alla verità. Dentro e fuori le aule dei tribunali, e di come sia necessario a volte farlo, purtroppo, per molto tempo, spesso sopportando malamente sentenze insopportabili perché ritenute fortemente ingiuste.
Vale per L’Aquila come per ogni processo che a fronte di una strage vede dal lato delle responsabilità gente potente o lo stesso Stato che tende ad auto assolversi.
Emblema di questo è stata sicuramente la vicenda legata alla morte di Stefano Cucchi, ma soprattutto la straordinaria lotta della sua famiglia che alla fine, dopo due processi – il primo fu una farsa – è arrivata a stabilire una verità e delle responsabilità specifiche con relative condanne.
Per questo ci sarà anche Ilaria Cucchi (oggi Senatrice) all’incontro “storie di giustizia” che faremo il 6 aprile alle 16 presso il ridotto del teatro comunale.
E insieme a lei ci sarà anche quel giudice coraggioso che in primo grado condannò tutta la Commissione Grandi Rischi, Marco Billi.
E ancora i parenti delle vittime che hanno lottato all’Aquila per anni per chiedere verità e giustizia come Vincenzo Vittorini, ma anche Ilaria Carosi nel suo doppio ruolo che, oltre a parente di una vittima, la vede psicoterapeuta. Il terremoto è un grosso trauma infatti, che come tutti i trauma, va elaborato ma non rimosso il che vale sia a livello personale che comunitario dove chiaramente le due dimensioni si implicano.
Ci sarà il giornalista Alberto Orsini che in quegli anni, come molti colleghi, si è confrontato con la difficoltà e la responsabilità del racconto di quanto accaduto e Alessandro Chiappanuvoli, scrittore, il cui lavoro si è concentrato sulla memoria e sullo sforzo di riprendere a farla funzionare come ingranaggio collettivo con i suoi podcast, disponibili su spotify, chiamati L’Aquila fenice. In tal senso verrà presentato, tramite una clip, anche un nostro progetto di docufilm “le crepe della giustizia” a cui stiamo lavorando con Federico Vittorini, Rita Innocenzi, Matteo Di Genova, Agnese Porto e Stefano Ianni.
Ci sarà anche il Comitato Nazionale “Noi non dimentichiamo” che tramite il magistrato Claudio Di Ruzza racconterà lo stato dell’arte su altre storie di giustizia riguardanti stragi come quella di Rigopiano, Viareggio, ThyssenKrupp e molte altre ancora, alcune delle quali ancora in cerca disperata di verità e giustizia .
Un lavoro complicato quanto irrinunciabile quello di cercare giustizia, che appunto per questo abbiamo voluto inserire il 6 aprile, perché l’anniversario del terremoto per noi aquilani e aquilane non può essere solo commemorazione, ma anche assunzione di responsabilità collettiva per continuare a cercare verità e giustizia per quella notte del 6 aprile e per tutte le stragi, come la città ha fatto in maniera molto forte e coraggiosa recentemente, con la manifestazione contro la sentenza choc dal nome “le vittime non hanno colpa”. Dare la colpa alle vittime piuttosto che assumersi le proprie responsabilità d’altronde è ricorrente per chi ricopre posti di potere, come abbiamo visto fare di nuovo recentemente dal Governo italiano per la strage di Cutro.
Continueremo a raccontare allora storie di giustizia anche il prossimo 6 aprile, quattordici anni dopo il sisma, e vi aspettiamo tutte e tutti presso il ridotto del teatro comunale.