Abbattimento e riqulaificazione del Progetto Case, ciò che si scorge oltre il fumo negli occhi

Sono usciti due articoli in una settimana, prima su Il Messaggero e oggi su Il Centro, che annunciano l’abbattimento parziale e la ricostruzione, anche con “strutture di diversa tipologia”, di alcune piastre in alcuni siti del Progetto Case, i quartieri costruiti da Berlusconi dopo il sisma.

Una rivoluzione piuttosto importante che sta passando relativamente in sordina, ma soprattutto in maniera un po’ confusa a sentire le dichiarazioni dell’assessore Vito Colonna riportate dalle maggiori testate giornalistiche locali.

Tali lavori sono annunciati non per una normale, quanto necessaria, razionalizzazione e riqualificazione dei quartieri c.a.s.e. sorti dopo il sisma, ma solamente in virtù del prossimo utilizzo di questi siti per ospitare la scuola nazionale dei vigili del fuoco e il Centro nazionale del Servizio civile Universale.

Sappiamo che nell’intero progetto case di Sassa, dopo le proteste di molte famiglie invitate a fare fagotto da un giorno all’altro dall’Amministrazione, sorgerà la scuola nazionale dei vigili del fuoco grazie ai 15milioni stanziati dal Governo. Così è stato deciso.

Le ultime novità arrivano allora dall’impiego del c.a.s.e. per il Centro nazionale del Servizio civile Universale per cui sono stati stanziati tramite il Pnrr 60milioni di euro, cinque da spendere entro il 2022 e cinquantacinque entro il 2025.

A leggere gli artcicoli, nonostante alcune incongruenze, sembrerebbe che si stia prevedendo la realizzazione di “264 appartamenti in 12 piastre tra Sant’Elia, Bazzano e Paganica, per ospitare i primi 500 volontari“, di cui sono stati stanziati i soldi e aggiudicati i lavori per i primi centro appartamenti.

In tutto, secondo Il Centro, i volontari da ospitare nel progetto case saranno 2500, secondo il messaggero 2500 invece sarebbero addirittura gli appartamenti (“più della metà del Progetto case”).

Il messaggero in più parla di abbattimenti anche nei quartieri di “Cese e Pagliare” oltre che di “tutti i  Map a partire da quelli di San Gregorio”.

Non solo, il titolare dell’USRA, Salvo Provenzano, su il Messaggero specifica che il quartier generale del Servizio Civile si realizzerà nell’unico quartiere centrale del Ca.s.e., quello di di Sant’Antonio, e aggiunge che ci sarà bisogno di una serie di “interventi di connessione tra le aree del progetto case”.

In più l’assessore Colonna dichiara che “una volta ristrutturate, riqualificate e rifunzionalizzate le palazzine potranno ospitare gli alloggi, le aule, le mense e altri spazi destinati ad allievi”, o meglio il centro del servizio civile sarà “destinato all’accoglienza, alla residenza alla formazione e alle attività dei volontari, nonché al training  dei docenti e dei formatori che diventerà operativo attraverso interventi di conversione e anche efficentamento energetico degli alloggi del Progetto Case e la realizzazione di infrastrutture di servizi”.

Dall’inferno al paradiso insomma, una vera e propria rivoluzione pensata in qualche stanza e spiattellata genericamente dall’assessore  sui giornali e che però lascia qualche perplessità e nasconde alcuni interrogativi. 

Così come descritta da Colonna la rivoluzione è pensata solo in virtù dell’arrivo dl nuovo Centro del Servizio Civile, come se i bisogni non fossero, e non lo fossero da tempo, anche dei cittadini residenti, anzi speriamo che questa rivoluzione sono sia addirittura a loro discapito. Vista infatti la dimensione dell’intervento, qualche famiglia dovrà andar via per far posto al Servizio Civile Internazionale?

Perché nessun amministratore ha mai avuto il coraggio di ammetterlo, ma i progetti c.a.s.e. hanno via via preso le sembianze di nuove “case popolari”– rispetto a quelle di prima più simili a un ghetto, più lontane dal centro e con zero servizi – visto che la ricostruzione delle vecchie case popolari prosegue a rilento, mentre la loro richiesta nel frattempo potrebbe essere aumentata. Senza nulla togliere all’importanza del Centro del Servizio civile universitario per la nostra città, tra i vari bisogni della popolazione ci sarebbe da considerare anche quello “banalmente” abitativo delle famiglie e l’offerta di appartamenti a prezzi sociali nel rispetto del diritto all’abitare.

Prima di pensare ad abbattere e cambiare destinazione andrebbe fatta in tal senso da parte dell’Amministrazione un’analisi di chi sono i residenti nel ca.s.e. e di quanti ne potrebbero aver bisogno in prospettiva in virtù dell’idea di città che si intende perseguire. Ad oggi ci sono circa 200 famiglie in graduatoria per l’assegnazione di uno di questi alloggi, mentre paradossalmente tra appartamenti lasciati vuoti e altri che sono inagibili, secondo il neo comitato CASA, sono, solo il 44% del totale quelli abitati. Un gran caos a cui si pensa di metter fine solo cambiando le carte in tavola. Ma quanti appartamenti resteranno destinati alla residenza dei cittadini dopo gli abbattimenti, i lavori e la riconversione prevista ? Si useranno le risorse per fare infrastrutture e servizi anche per quei quartieri del Case dove non sorgeranno piastre destinate al Centro di servizio Civile?

Va bene pensare ad efficentamenti energetici, nuove infrastrutture, servizi e connessioni, ma non si doveva pensare di farlo a prescindere per i cittadini e le cittadine aquilane?  E’ anche per loro (noi) che speriamo venga fatto adesso, nonostante nelle dichiarazioni dell’assessore sul Progetto case, il popolo aquilano venga come rimosso.

E’ vecchia abitudine locale, trasversale alle fazioni politiche, quella di parlare sempre del nuovo e mai del presente, prima degli altri, poi degli aquilani e le aquilane.

Adesso ci si occupa dei progetti per i nuovi “studenti” del servizio civile in arrivo, mentre ci si scorda di quelli dell’Università che sono già all’Aquila e che non riescono quest’anno a trovare casa, tra le altre cose anche per la mancata attività del collegio Ferrante d’Aragona che avrebbe dovuto concedere agli studenti appartamenti di proprietà comunale acquisiti in virtù dell’acquisto equivalente e che invece, a fronte di tutto ciò, restano clamorosamente vuoti.

Decisioni importanti che in qualche modo segnerebbero una svolta nella pianificazione del territorio così configuratosi dopo il sisma e che per questo andrebbero maggiormente condivise con la città e il Consiglio comunale. Sarebbe il minimo valore democratico richiesto per non creare ancora più disordine ed incompiute (si pensi a che stanno oggi i “sottoscrivi”!), cercando di intercettare e soddisfare i bisogni reali di una città, alla cui base dovrebbe pur esserci un’idea di “sviluppo” o quantomeno di più generico “futuro”, ovviamente senza sottovalutare l’importante opportunità offerta della Scuola di servizio civile. 

E’ il momento storico in cui si sta decidendo come definire e se riuscire finalmente a farlo, la nuova città spuntata dal dopo terremoto, dopo il lungo guado della lunga e lenta ricostruzione iniziale. Il momento di collegare, connettere e integrare il centro alla periferia, l’università alla città, i nuovi quartieri con quelli vecchi, le classi più abbienti con quale più povere, i giovani e gli adulti… potrei continuare all’infinito, ma più precisamente è il momento di definire se questa sarà una città per tutti o solo a vantaggio di alcuni.

Alessandro Tettamanti 

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